(di Claudia Agostini)
Quando ho iniziato a lavorare alla Protezione Civile A.N.A., era per me una realtà nuova. Certo, sapevo
dell’esistenza di questa struttura all’interno dell’A.N.A. e conoscevo gli Alpini anche perché aprendo l’armadio in camera dei miei genitori avevo visto l’inconfondibile cappello verde con la piuma testimone di una parte di vita di mio padre.
Credo già il primo giorno, entrò dalla porta quest’uomo che si rivolse a me dandomi del “Lei” mentre mi
salutava con gentilezza e cordialità. Nella semplicità di quel saluto ho trovato una rassicurazione e la
sensazione di sentirmi la benvenuta.
Gli anni trascorrevano e lui non ha mai smesso di usare la forma di cortesia quando si rivolgeva a me e, senza eccezione, lo faceva con tutti. Passava quasi ogni giorno in ufficio ed io lo scoprivo attraverso gli articoli che scriveva per il Doss Trent e che gli trascrivevo al computer. Ogni volta temeva di crearmi disturbo distogliendomi dal mio lavoro ordinario ma i suoi scritti mi facevano conoscere le Dolomiti “cattedrali della natura”, la storia di Alpinisti come Paul Preuss, Dùlfer, Emilio Comici, Severino Casara, Wincler e più recentemente Cesare Maestri, Walter Bonatti che con la loro classe e tecnica particolare, hanno innalzato le Dolomiti a simbolo e leggenda.
Mi ha fatto conoscere le memorabili imprese di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che aveva voluto
ricordare non solo come arrampicatori ma anche perché erano fra gli istruttori quando era entrato a fare
parte dei giovani ufficiali appena assegnati ai reparti alpini.
Al termine di un articolo sulle Dolomiti, si chiedeva: “Quanto tempo occorrerà all’uomo per spianarle?”
mostrando la sensibilità e la preoccupazione di chi ama realmente la montagna nonostante fosse nato in Liguria, vicino al mare.
Trascrivendo i suoi articoli ho sempre avuto l’impressione che volesse farne un promemoria su quale, secondo lui, dovesse essere il messaggio che gli alpini dovevano continuare a trasmettere. Una sorta di monito affinché l’originario spirito alpino non venisse intaccato.
Dovevano continuare ad essere testimonianza di una solida e sentita fedeltà a ideali che il tempo e le convulse trasformazioni della società non dovevano riuscire a scalfire.
Una caratteristica che ho sempre ritenuto indice di intelligenza è l’ironia e la capacità di avere quell’umorismo inglese che non tuti possono vantare. Ecco, lui era così.
Impossibile non capire che fosse un appassionato della vita. Parlando con sua figlia Elena, mi ha detto come sia stato un uomo che ha sempre cercato di fare quante più cose possibili e tutte con l’entusiasmo di chi fa ciò che ama.
E’ sicuramente stata una persona che ha sempre cercato di trovare motivazioni rispetto ad atteggiamenti che non condivideva, ma comunque fermo nei principi fondamentali che nutrono il rispetto delle persone e l’educazione nei rapporti interpersonali.
Il Generale De Maria davanti ad un aereo nella sua divisa da pilota d’aviazione.
Quando l’ho conosciuto aveva 80 anni e rimanevo impressionata quando mi raccontava dei suoi percorsi di corsa da Trento fino a Garniga, un’attività che ha proseguito anche negli anni a seguire. Arrivava in ufficio in sella alla sua bici e quando entrava era impossibile non sentire il suo saluto; una volta mi spiegò che il suo tono così alto non era tanto dovuto ad un problema di sordità quanto per un’abitudine acquisita nel suo ruolo di pilota perché, nel frastuono dei velivoli era inevitabile essere costretti ad urlare quasi.
Conservo tuttora i “post it” che mi attaccava vicino alla tastiera se per caso non c’ero quando lui andava via e quando ha deciso di ritirarsi mi ha sempre fatto avere un suo biglietto di auguri in occasione delle festività.
Ecco, anche in occasione del suo “ritiro” è stato un signore. Lo ha fatto quando ha ritenuto che la sua presenza non fosse più necessaria nonostante gli esprimessi il mio disaccordo quando iniziò a prepararmi a questa eventualità. Lo fece un po’ alla volta… Con eleganza ed in silenzio.
Ho sempre pensato che le mie telefonate in occasione del suo compleanno e del Natale fossero per
trasmettergli la stima che avevo maturato nei suoi confronti, ma non era solo per questo. Lo facevo
anche per me, perché fa bene parlare con le persone come lui.
Il 03 marzo di quest’anno se n’è andato. Se n’è andato serenamente, come la fiamma di una candela che in silenzio smette di fare luce. Trovo sia stato un onore conoscerlo e ho sentito doveroso scrivere di lui, raccontare di un Uomo speciale: il Generale Aurelio De Maria.